Oggi, terza giornata a Tokyo, visitiamo il parco Yoyogi 代々木公園, dentro al quale si trova il santuario Meiji Jingu, mentre i figli fanno un giro per le strade della moda di Harajuku.
Il parco si trova nella zona nord di Shibuya: 54 ettari di prati, foreste e viali con dentro il santuario.
L’ingresso sud è vicino alla stazione di Harajuku, l’ingresso nord è vicino alla stazione di Yoyogi. All’esterno della stazione di Yoyogi troviamo un complesso incrocio:
Sullo sfondo dell’uscita est della stazione Yoyogi si vede il grattacielo “NTT docomo Yoyogi building“, 272 metri (con l’antenna, sennò 240m) per 33 piani.
Il parco Yoyogi 代々木公園
Lo Yoyogi Park è uno dei parchi più grandi di Tokyo (54 ettari): un’oasi di pace e tranquillità nel centro di Tokyo. Divenuto parco pubblico nel 1967 è frequentato ogni giorno da migliaia di persone.
Il parco è aperto al pubblico dal 1967. Insieme al Meiji Jingu, sorge sull’area dove l’imperatore Meiji e l’imperatrice Shoken si recavano abitualmente a vedere i giardini di iris. Il giardino c’è ancora ed è visitabile.
Per creare la foresta del parco, i giapponesi hanno donato più di 100.000 alberi diversi, compresi moltissimi ciliegi, sotto i quali ancor oggi festeggiano l’hanami ogni primavera.
Purtroppo anche qui, come a Ueno, la fioritura era in ritardo, ma si stavano preparando all’imminente evento. Avevano steso i tradizionali teli celesti sotto ai ciliegi, per fare il picnic con amici e parenti.
All’ingresso nord del parco, troneggia un mastodontico Torii, in legno di cipresso giapponese.
Un torii 鳥居 è il tradizionale portale d’accesso giapponese ad un santuario shintoista o a un’area sacra.
E non è l’unico, nel parco del santuario ce ne sono altri, giganteschi:



Amicizia fra nazioni
Una lunga parete di botti di sakè, donate al santuario da produttori giapponesi, costeggia il viale. Di fronte, una serie di botti di vino provenienti dalla Borgogna, donate da produttori francesi, gesto di amicizia tra le due nazioni:




Il muro di botti colorate di sakè si è formato con quelle donate ogni anno dai produttori: la botte, o kazaridaru che significa “barile decorativo“, è vuota, ma i produttori donano al santuario, separatamente, il saké necessario per tutti i riti sacri e la botte propiziatoria.
Per i Giapponesi il sakè unisce le persone agli dei ed in passato veniva prodotto proprio all’interno dei santuari. Un po’ come il nostro amaro del fraticello!
Ci saremo mica persi?
Il viale principale sembra non finire mai, tanto è ampio e lungo. Da qui non si vedono più nemmeno i grattacieli, solo pace e tranquillità.
Camminando affascinati da tanto quieto verde, non abbiamo guardato la cartina per trovare il santuario. Invece di svoltare a metà strada per raggiungerlo, senza accorgercene abbiamo percorso tutto il lunghissimo viale alberato, per accorgerci infine che… il santuario non era lì.
Eravamo invece arrivati vicino ad Omotesando:
Nella foto non si vede e purtroppo noi due non abbiamo fatto in tempo a visitarlo.
Per poter visitare il santuario non restava che fare dietrofront e trovare il torii del viale di ingresso.
Il viale principale del parco è lungo più di un chilometro, se poi si aggiungono i lunghi tratti per arrivare al santuario è davvero tanta strada: percorrerlo due volte perché hai sbagliato strada è… faticoso (da polli!).


L’ingresso al parco è libero e gratuito, così come al santuario.
Il santuario Meiji Jingu 明治神宮
Se pensate che sia il classico santuario antico vi sbagliate: è stato costruito nel 1920 per commemorare l’imperatore Meiji e l’imperatrice Shoken (regnarono agli inizi del ‘900) come fondatori del moderno Giappone.
Da qui puoi vedere il post sul santuario Meiji Jingu.
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